mercoledì 22 marzo 2017

VECI MESTIERI

“El Barbiere”
“El Battilòro”
“El Boaro”
“El Caregaro”
“El consapele de stì ani”
“El Dotore de condota”
“El Favaro”
“El Feracavài”
“El Fornaro”
“El Maestro de nà volta”
“El Marangòn”
“El Molèta”
“El Munàro”
“El Muraro”
“El Pescadòre de fiume e de fosso”
“El Pistora”
“El Poarèto”
“El Polastràro”
“El Sacrestàn e la Perpetua”
“El Sagràro”
“El Sensàro”
“El Spassacamìn”
“El Strassàro”
“I Segantini de pianura”
“L’incisore a buìn”
“L’Ombrelaro”
“L’Orevese”
“La Levatrice”
“La Lustraressa”

“…I MESTIERI di una volta a NOGAROLE”

-“EL MOLETA”, era colui che affilava i coltelli e le forbici andando di casa in casa;

-“EL SCARPARO” aggiustava le scarpe;

-“LE LAVANDAIE” lavavano gli indumenti e i tessuti nelle fontane e fontanelle di contrada usando la cenere e sapone lavorato in casa;

-“LA FILANDA” o SETERIA presso la quale si coltivava la canapa per poi filarla e con il telaio si tessevano tessuti per le lenzuola, sacchi, ecc.; con i conigli d’Angora si filava la lana con la “Mulinela” e si facevano maglioni, calze, berretto, sciarpe, ecc.;

-el strasaro” che passava lungo le strade del paese una volta al mese e gridava “Strase, fero vecio!” Raccoglieva dentro ad un sacco tutte queste cose pagando a peso: dava “nà palanca” per
ogni kg. Di cose vecchie;

-“EL CAMPANARO” che suonava le campane all’inizio di ogni Santa Messa e per segnare l’ora.

POESIA “EL CAMPANARO”.
Griio, griio campanaro,
salta fora che sé ciaro.
Va a sonare la campanela
Che se morto to sorela
Va a sonar el campanon,
che se morto el to paron.

FARE “EL PAN” IN CASA
Le famiglie preparavano il pane in casa. Prendevano il lievito e lo scioglievano nell’acqua, poi aggiungevano parte della farina, impastavano tutto insieme fino a formare una “palla che mettevano” nella “mesa” e la lasciavano lievitare per una notte. Al mattino seguente finivano tutto l’impasto con il resto della farina, il sale e l’acqua e poi lo “domavano” con le mani passandolo attraverso la gramola. Poi si facevano le ciope e si lasciavano lievitare per un po’ al caldo.
Intanto si accendeva il fuoco nel forno a legna e quando era ben caldo si toglieva la senare e si “infornava” il pane. Si chiudeva bene la bocca del forno, poi la si apriva altrimenti il pane “si bruciava”.
Quando il pane “el gera coto” si tirava fuori e “el gera pronto per essere magnà”

I BACHI DA SETA
Alla mattina presto ci si levava per andare a raccogliere le foglie per i bachi da seta, per allevarli in casa. Producevano difatti i bozzoli che venivano venduti al mercato.

MUNGERE LE MUCCHE
Si mungevano le mucche e le si portavano al pascolo

TAGLIO DEL FIENO
Durante la stagione estiva, senza le macchine agricole di oggi si doveva fare tutto a mano, e il lavoro era quindi molto più duro e  pesante

FAR “CAVESAGNA”
A primavera si vangavano i campi con la vanga, e si faceva “cavesagna” portando la terra con le ceste dal fondo del campo fino alla cima; quando il terreno era pronto con la zappa, si facevano i buchi per piantare le patate.

LA TREBBIATURA
Si seminava il frumento o “sorgo”, e quando spuntavano le piantine si doveva continuamente zappare la terra per tenerla pulita dalle erbacce. Quando il frumento era maturo lo si tagliava con il falcetto; si formavano delle faglie (grossi cordoni) che si mettevano a “cresta” in modo che il frumento non si bagnasse con la pioggia.
Quando nella “corte “ arrivava la trebbiatrice si faceva festa e tutte le persone della contrada si radunavano per la trebbiatura e si divertivano molto.
Nella stagione fredda tutti si radunavano nella stalla per “scartosare” il “sorgo”, aggiustare i
rastrelli di legno, controllare gli “scaletti” che dovevano servire per la vendemmia successiva,
costruire ceste per venderle al mercato e le donne con i ferri confezionavano calze e maglioni.

Testo tratto da: NOGAROLE … “Paese mio che stai sulla collina”  - Scuola Elementare 


Acquaiolo

Acquaiolo, Venditore di Frutta, Contadina

Acquaiolo

Acquaiolo

Molèta

Caffettiere

Cambia Monete

Capraio

Cecina

Contadina

Costumi

Costumi italiani, 1850-60

Dentista

Venditore di Crivelli e Setacci

Facchino

Fioraia

Fruttaiolo

Giocatori di morra

Impagliasedie

Lutammaro

Marinaio

Mellonaro

Ogliarolo

Pastore

Pecoraio

Pescatore

Pescatore

Pezzaro o Strassaro

Pifferai

Ragazza alla fontana

Scrivano Pubblico

Scrivano

Venditore di Bicchieri

Venditore di Bretelle

Venditore di Mantici 

Venditore di Ombrelli

Venditore di Stoviglie

Venditore di Uova

Venditore di Zolfanelli

Venditrice di Fiori

Vvenditrice di Noccioli
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Moléta (Arrotino)

A questo caratteristico personaggio (solito girare su di una vecchia bicicletta) venivano affidati coltelli, temperini e forbici, al fine di farne ripristinare il filo della lama. L’ambulante riusciva ad essere presente in tutta la città, passando di zona in zona in un differente giorno settimana. L’attrezzatura da lavoro (simile ad una mola da banco) rudimentale ed ingegnosa allo stesso tempo, era posta sulla parte anteriore della bicicletta e collegata alla pedaliera della stessa, nello specifico “l’ammuola forbece” (fissata la bicicletta con dei piedistalli) con la semplice rotazione dei pedali azionava la “mola a ruota”. Il mestiere di “arrotino ambulante”, purtroppo, è stato soppiantato dal moderno consumismo, nel quale si preferisce acquistare, anziché aggiustare. A cura di Maurizio Cuomo 


Castagnaro
E’ il venditore di castagne, ossia colui che con modeste risorse (un fornello di grosse dimensioni, un pentolone, una padella bucherellata ed un panno di lana per trattenere il calore delle caldarroste), riesce nel primo periodo invernale ad allietare gli infreddoliti passanti con un cartoccio di castagne arrostite (cotte sul fuoco) o allesse (sbucciate e cotte in un brodo aromatizzato con alloro, finocchietto e sale). Molto apprezzate anche le cosiddette: “Castagne d”o prevete” (secche, dure e sfiziose da mangiare), reperibili sul mercato trascorso il periodo invernale. Inutile dire che a Castellammare di Stabia, quello del “Castagnaro” è un mestiere antichissimo, che deve le sue remote origini alla estrema vicinanza del “Faito”, monte ricchissimo di secolari castagneti. A cura di Maurizio Cuomo 
Lutammaro


Questo mestiere, oggi improponibile, trovava largo impiego in epoca rurale, quando veniva fatto un uso abituale di animali da traino (adatti per lavorare le vaste campagne), e di cavalli ed asini (utilizzati per il trasporto e la circolazione nelle strade cittadine). Il “Lutammaro” raccoglieva per strada, stalle e masserie gli escrementi animali ed in particolare la cosiddetta “Lutamma” (termine indicante la paglia infradiciata sotto gli “animali da stalla” mescolata con l’urina ed il loro stesso sterco), per rivenderla a basso costo, come concime ai contadini. L’evoluzione sociale, la tecnologia e soprattutto l’odierno utilizzo di concimi artificiali, hanno letteralmente estinto questo poverissimo e degradante mestiere.
A cura di Maurizio Cuomo 
Materassaio
Fino alla seconda metà degli anni settanta esisteva la figura del “materassaio”. In quel periodo era molto presente nelle case il materasso di lana. Ogni anno al fine di eseguire una manutenzione del materasso, che risultava appiattito (quasi compresso) per l’utilizzo, si scuciva e si estraeva la lana che poi veniva lavata, stesa al sole ad asciugare, cardata ed infine rimessa nel materasso. Al “materassaio” veniva affidato il compito di rinfilare i fiocchetti e di ricucire il bordo del materasso con degli aghi lunghissimi (i cosiddetti aghi saccurali), da un lato all’altro del materasso. Tutta l’operazione durava qualche giorno e spargeva una fastidiosa polvere per tutta la casa. Il materassaio era l’artigiano che ridava forma e bellezza ai materassi. Il suo periodo di lavoro, quindi, era limitato ai mesi estivi (luglio/agosto) per terminare prima del periodo delle “bottiglie di pomodoro”. La figura del materassaio si è estinta con l’avvento e il diffondersi dei materassi Permaflex. A cura di Antonello Ferraro 
Pezzaro o Strassaro
Era un raccoglitore di stracci, di pezze ormai inservibili, di strofinacci di cucina, di ritagli di stoffe prodotti da sarti artigianali, di stoffe ormai logore, di abiti sdruciti ritenuti non più utilizzabili o recuperabili ne con rattoppi, ne con rammendi o di poco conto, di stoffe imputridite, di calzini non più recuperabili, di risultanze di accorciature di pantaloni, di maniche di camicie portati a casa, ma mai più utilizzate perché non ne valeva la pena per i costi della mano d’opera che sopravanzava il costo di una camicia nuova o di un indumento che non ha qualità eccelse. Passava di tanto in tanto per i quartieri della città, senza scadenze precise. Non era un personaggio improvvisato, il più delle volte aveva alle spalle attività di recupero o era affiliato ad una di esse. Quasi sempre accompagnava alla raccolta degli stracci anche quella del ferro e di altri metalli come il piombo, l’ottone, il rame, ossa di animali ed oggetti fuori uso che rischiavi di ritrovare qualche tempo dopo al mercato delle pulci o, una volta rigenerato, rivenduto come oggetto di modernariato. In cambio, ‘o pezzaro, che non era uno stupido anche se il suo aspetto dimesso suggeriva questa impressione, offriva ben poco, dava a chi gli conferiva i propri residuati qualche piatto, un po’ di bicchieri, degli oggetti sicuramente utili, ma fragili e di cattiva qualità, prodotti di scarto di una produzione già destinata ad un mercato per povera gente.
Arrivava nel quartiere con un richiamo a voce distesa, inconfondibile, spingendo a mano un carretto carico in parte degli stracci già raccolti ed in piccola parte, ma in bella vista, della mercanzia di scambio che era incentrato sul niente per il niente.
Nonostante ciò era una bella lotta tra ‘o pezzaro e i soggetti che si appropinquavano al carretto con le mani piene, tutte donne, che cercavano di liberare la casa dalle cose inutili che l‘appesantivano e allo stesso tempo di acquisire un surplus di bicchieri, di piatti, di tazzine da caffè che con i figli piccoli finivano facilmente in frantumi.
A chi non è capitato di sparigliare il servizio buon per non averlo riposto in tempo nella cristalliera dopo averlo usato per fare bella figura con gli ospiti?
Almeno la terraglia, il vetro costato qualche chilo di stracci che tanto non erano più buoni neppure per togliere la povere dai mobili, che si rompeva non rappresentava una grossa perdita, permetteva di vivere un po’ più a cuor leggero il rapporto con i figli e con se stessi.
Non erano tragedie da raccontare ai mariti la sera quando rientravano a casa. Bastava non ferirsi con i cocci.
Forse non tutti sanno, però, la fine che fanno gli stracci e la validità di un cosi umile mestiere che rende ancora viva la memoria nel ricordarlo.
Gli stracci raccolti vengono conferiti ad aziende che prima di rimetterli in circolazione li selezionano per recuperare quelli più pregiati da avviare a quelle poche aziende che ancora producono materiali ovatte da imbottiture, abiti per il mercato dell’usato, e gli stracci che ormai restano stracci al mercato delle officine meccaniche e degli ambienti marittimi che fino a qualche anno fa ne facevano largo uso.
Si è sempre detto che più di un pezzato era diventato ricco rintracciando negli abiti dei defunti che gli venivano alienati per un servizio di piatti un po’ più decente, soldi e preziosi che vi erano stati riposti come nascondiglio sicuro contro i ladri o dimenticati del tutto dal legittimo proprietario.
Per i bambini qualche volta ci scappava un fischietto, una trattola o un giocattolo che dopo qualche ora diventava un rottame per il prossimo scambio.
La filosofia dei nostri tempi era quella di dare un valore a tutto e un significato alle cose. Oggi, è vero, gli stracci, gli abiti vecchi e quant’altro vengono conferiti ai cassoni delle raccolte per beneficenza, ma è un modo diverso di liberasi del superfluo o del non più recuperabile che non dà ne all’anima ne alla memoria sensazioni e ricordi e il senso del bene che procura agli altri.
La voce d’‘o pezzato non la ricordo, ma la sua presenza si: sicuramente strillava qualche cosa che invogliava principalmente le donne con tutto quello di cui volevano liberarsi ad uscire di casa per un baratto che acquistava un senso di liberazione, ma anche di acquisizione di beni certamente utili per qualche tempo, anche se di basso valore commerciale.
Il bello della situazione era il battibecco, il braccio di ferro che si instaurava a livello verbale tra i soggetti della trattativa e gli astanti che incitavano a non farsi fare fessi.
Alla fine era stato un momento più di divertimento che di contrattazione che rendeva la signora più soddisfatta e più disponibile ad affrontare il resto della giornata nel raccomandare ai figli di non distruggerli prima che passasse un’altra volta ‘o pezzaro che forse gridava: – ‘O pezzaroooo! E’ arrivato ‘o pezzaro. Levateve ‘a munnezza ‘a dint’‘a casa. ‘O pezzarooo!!! A cura di Gioacchino Ruocco

tratto da  ANTICHI MESTIERI

Vedi anche ANTICHI MESTIERI STABIESI 



Museo degli Antichi Mestieri

Valli del Pasubio

Museo degli Antichi Mestieri

 Via Roma, Valli del Pasubio
 Tel. 0445 590179
 Web www.museialtovicentino.it
 email prolocovalli@libero.it
Il fascino intramontabile degli strumenti di lavoro dei mestieri ormai scomparsi. Una testimonianza tangibile della storia quotidiana, anche non lontanissima, della cultura locale e di stili di vita che oggi sono molto cambiati, in una terra di confine. Sono gli oggetti, e la spiegazione del loro utilizzo, ad illustrare la storia della gente di montagna dell'Alta Val Leogra. Nel museo, attorno al focolare è ricostruita la cucina con una serie di suppellettili ormai desuete ai giorni nostri. Gli altri attrezzi sono raggruppati per mestiere, a rappresentare quelli più diffusi nella vallata: il contadino, il boscaiolo, il vignaiolo, il fabbro, il falegname, il calzolaio, il norcino e il casaro.
Il torcio (torchio) per la spremitura di un impasto di noci e nocciole al fina di ricavarne olio da lampade e da mobili.
La gavegnà o caponara per il trasporto di fieno o foglie in autunno, da utilizzare come letto alle mucche, per facilitare la pulizia della stalla e preservarla dall'umidità.
La piccola trebbia per il grano tenero, una volta coltivato negli appezzamenti di terreno più soleggiati, che veniva portata nei quartieri quando serviva. A partire dagli anni 60 questa coltivazione e quella del mais o granoturco sono quasi del tutto scomparse.
Il gerlo per il trasporto a spalla del letame sparso sui prati, come concime naturale.
Il carretto per il trasporto, con le targhe obbligatorie, testimonianze del pagamento di una tassa, come oggi il bollo auto.
banchi a pedale, semplici morse, per lavorare in stalla e creare pioli in legno per scaletti.
Il legafascine per mettere insiene le ramaglie e facilitarne il trasporto.
Il tino per la pigiatura dell'uva e la gramola per macinarla.
L'allestimento della cucina di una volta con tanti suppellettili: i brusin per abbrustolire il caffè e l'orzo, i macinini, il caliero attaccato alla catena, i tajapan, il tajacapusi per preparare i crauti dal cavolo cappuccio, il bel seciaro con tutti i suoi componenti, il mestelo da lis-sia, la piccola credenza, il bigolaro, il vecchio ferro da stiro. In un angolo la culla, i passeggini, le fasce per i neonati e la monega per riscaldare i letti.
Nella bottega del fabbro: il trapano a mano, la forgia e il banco sono gli strumenti di lavoro.
La bottega del falegname (marangon) presenta il bancone con numerose pione, le morse, le seghe.
La piccola bottega del ciabattino è completa di tutti i suoi attrezzi e del deschetto da lavoro; numerose forme che servivano a modellare le scarpe e non solo a ripararle, zoccoli in legno e vecchie sgalmare con le brocche, sono esposte in vetrina.
Interessanti la mesa del norcino e i vari attrezzi per lavorare la carne di maiale, attività molto praticata in passato quando tutte le famiglie allevavano il mas-cio.
La casara era presente in ogni quartiere di Valli. Il latte munto la mattina e la sera, dopo la pesatura e l'analisi, viene versato nelle piane la sera; la mattina seguente il casaro toglie la panna con la spanarola e la deposita in un secchio in attesa di trasformarla in burro con i vari burci. Il latte riscaldato e fatto cagliare nella caliera, è poi sbriciolato con il triso per separarlo dal siero; accuratamente raccolto viene diviso nelle "fasare", compresso per la fuoriuscita del siero ancora presente e poi salato e stagionato.
Nella vetrina adiacente la porta, si notano gli indumenti e la lista del corredo nuziale, gli attrezzi del barbiere e un ebulliometro per misurare il grado alcolico.

martedì 21 marzo 2017

LA CUCINA, L'ORTO, PRODOTTI TIPICI, LA CANEVA, CULTURA E USANZE

Da molti anni con la preziosa collaborazione di Galliano Rosset compiamo ricerche su vecchi mestieri, erbe aromatiche, tradizioni e su molti altri argomenti che riguardano la tradizione vicentina. Queste ricerche vengono poi riportate ed illustrate su carta dando vita alle litografie.

L’ORTO ED IL “BROLO”

“El Pissacan”
“La Maresina”
“Ortiga”
“La Malva”
“La Rosola”
“I turioni, bruscandoli e bruschi”
“I fiori mangerecci: viola e primula”
“I fiori mangerecci: cassia e sambuco”
“I fiori mangerecci: fiori de suca e sucùli”
“Il rampussolo”
“Cotogno”
“El figo”
“Nose e nosele”
“Osmarin”
“Salvia”
“El Moraro”
“Basilico”
La dispensa di Jacopo





Prodotti tipici e piatti del territorio vicentino


“El Baccalà alla Vicentina”
“L’Asparago de Bassan”
“Il Mais Marano”
“La frìtola”
“El Capòn in Canevera”
“Il Clinto, Frambuo e Bacò”
“Clinto: el popà dei vini”
“Soppressa”
“Le medaje del mascio”
“La stanga dei saladi”
“Pan Biscotto”
“El quinto quarto”
La Caneva
“Fèmo la gràspa”
“La bottiglia”
“El cavastropòli”
“Folare la ùa”
“La bòte”
“El stropòlo”
Andrea Palladio e le ville vicentine


Andrea Palladio a Vicenza
Andrea Palladio e le sue fabbriche nel vicentino
Andrea Palladio nel mondo: Palladianesimo
Villa Caldogno a Caldogno
Villa Pisani a Bagnolo di Lonigo
Villa Pojana a Poiana
Villa Godi Malinverni a Lonedo
La Rotonda a Vicenza
Il teatro Olimpico
La Basilica
La cucina secondo Andrea Palladio
La Villa secondo Andrea Palladio
Cultura e usanze popolari
“Strie e maghi”
“El Pojana”
“smorosando smorosando”
“nosse nossette e candelette”
“i Santi dei vicentini”
“La madonna de Monte Berico”
“Fare el formajo in malga”
“Fare el pan col forno a legna”
“El magasin”
“Fioreti de Magio”
“Storia del cappello alpino”
“Farghe el fioco al mascio”
“Le maschere de Vanesia”
“Andar par acqua”
“Va a Ciupese”
“El Molin a pria”
“queo e quea”
“Fare l’amore, morosi”
“la rua”
“la torre Bissara”
“La Levatrice”
“El Pescadòre de fiume e de fosso”
“L’Ombrelaro”
“I Segantini de pianura”
“El Marangòn”
“El Munàro”
“El Feracavài”
“El Sensàro”
“El Polastràro”
“El Molèta”
“El Caregaro”
“El Boaro”
“El poarèto”
“El Spassacamìn”
“El Strassàro”
“El Muraro”
“El Barbiere”
“El Sacrestàn e la Perpetua”
“El Maestro de nà volta”
“El consapele de stì ani”
“El Pistora”
“El Fornaro”
“El Dotore de condota”
“El Favaro”
“El Battilòro”
“La Lustraressa”
“L’incisore a buìn”
“L’Orevese”
“El Sagràro”
… e molte altre come le Ville del ‘700 Vicentino, personaggi storici e popolari, l’oro…
EL POJANA

Dal 2003 queste litografie vengono riportate anche all’interno del calendario del Poiana, il mitico Almanacco Metereognostico Vicentino che da 170 anni seguendo le fasi lunari prevede il tempo.